MY NAME IS NINA

A portrait of Nina Simone

 San Vito al Tagliamento (PN), 2024

Udine, 2024

Pasian di Prato (UD), 2024

«La musica era dentro di me. Siamo in pochi ad aver ereditato questo dono dal cielo: la Callas, Rubinstein, Horowitz, io e pochi altri»: disse così, un giorno, Nina Simone. E si stenta a non crederle, se pensiamo che i fedeli delle comunità evangeliche che frequentava da giovanissima a Tryon (Carolina del Nord) la chiamavano “piccolo prodigio”, ritenendola una sorta di manifestazione divina, quasi la prova che le invocazioni rivolte a Dio da intere generazioni di afroamericani fossero state finalmente esaudite…

La sua esistenza fu gloriosa e tormentata. La gloria scaturì innanzitutto dagli enormi sacrifici cui si sottopose per valorizzare al massimo le sue doti naturali: partì da ciò che sperimentava nelle cerimonie religiose (senso e potere del ritmo, energie e vibrazioni mistiche, potere ipnotico della musica…) e passò attraverso i durissimi studi di musica classica.

Rifiutata, però, dal mondo della musica classica, iniziò una carriera leggendaria salendo sul palco di una lurida bettola, aggiungendo al virtuosismo al pianoforte una voce così straordinaria che forse neppure lei immaginava di avere. Il tormento nacque da una vita forsennata, difficile, piena di sfruttamento, solitudine e disagio interiore, oltre che dal serio disturbo bipolare di cui soffriva, da tumultuose relazioni famigliari e sentimentali, e quant’altro.

Ma la sua eredità è legata anche a come ha messo i suoi talenti e la sua anima al servizio del Movimento per i diritti civili negli anni Sessanta, lasciandoci brani e interpretazioni leggendarie che ancora oggi ascoltiamo con commozione.