In una terra di sciagure nacque la Costituzione fulcro della democrazia
29
DICEMBRE
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Fu approvata nel dicembre del 1947. Entrò in vigore nel ’48 Si tornò a votare dopo 22 anni. E le donne per la prima volta
di VALERIO MARCHI
Il 2-3 giugno 1946 gli italiani scelsero la forma repubblicana ed elessero i membri dell’Assemblea Costituente, che il 22 dicembre 1947 approvò la Costituzione: promulgata il 27 successivo, entrò in vigore il 1° ottobre 1948. Gli uomini erano tornati al voto dopo 22 anni (quindi dal 1924, anno dell’assassinio Matteotti). Le donne, invece, votarono per la prima volta. Non solo, ma potevano persino essere elette: una vera e propria rivoluzione, per costruire una società democratica.
Umberto II, subentrato a re Vittorio Emanuele III il 9 maggio 1946, andò in esilio il 13 giugno successivo. Mussolini era stato giustiziato il 28 aprile 1945.
C’era una volta un re. E c’era anche un duce. Ma non fu una bella favola. Cominciò male e fini peggio: un incubo che dobbiamo continuare a raccontare, per trarre la morale della storia.
C’è anche la bella favola, però. Un sogno avverato, liberato dall’incubo. Il suo nome è “Costituzione della Repubblica Italiana”. È il risultato di un arduo e complesso cammino storico, il succulento frutto nato da un terreno che pareva capace di produrre, ormai, solo sciagure. Dal ventre di un mondo cupo, generato – con la complicità di molti – da quel re e da quel duce, emersero coloro che, a qualunque costo, volevano costruirne uno migliore. E finalmente giunse, per quel «misterioso e miracoloso moto di popolo – come disse Piero Calamandrei – l’ora di resistere, di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini».
La Liberazione si era compiuta con il contributo di uomini e donne protagonisti in vario modo della Resistenza: che non fu solo armata, ma si nutrì anche di assistenza, solidarietà, volontariato diffuso… Un preziosissimo patrimonio, al quale la Costituzione attinse al di là delle divisioni geografiche e politiche e delle diverse culture, anime e bandiere. Valorizzò così, salvaguardandole, le conquiste di quella straordinaria stagione, attraverso un mirabile compromesso: nel senso più nobile del termine, come ha evidenziato, fra gli altri, lo storico Umberto Gentiloni.
Il 10 giugno 1946, riferendosi all’esito del referendum istituzionale di otto giorni prima, Umberto Terracini (il quale, da Presidente dell’Assemblea Costituente, avrebbe poi firmato la Costituzione assieme a De Nicola e De Gasperi) dichiarò che, a quel punto, potevano trovare riposo sia la memoria di Giacomo Matteotti, assassinato il 10 giungo 1924, sia quella di tutti i morti «sacrificati nella criminale guerra fascista». Annunciò inoltre che era possibile aprire una nuova epoca, segnata da quattro esigenze fondamentali: pace nei giusti confini d’Italia, pacificazione interna, pane e lavoro per gli italiani e «una moderna Costituzione democratica». C’erano una volta un re e un duce, ma non c’erano più. C’era invece, in embrione, la Costituzione.
Meuccio Ruini, abile mediatore tra le diverse istanze politiche e sociali, Presidente della Commissione dei 75 (incaricata di redigere il testo costituzionale all’interno della Costituente, e di cui fece parte anche Calamandrei), suggerì di avvicinarsi alla legge fondamentale dello Stato provando «quasi un senso religioso». E, nella relazione presentata alla Presidenza dell’Assemblea nel febbraio del 1947, esordì così: «Liberata da un regime funesto di servitù, ritemprata dalle forze vive della Resistenza e del nuovo ordine democratico, l’Italia ha ripreso il suo cammino di civiltà e si è costituita Repubblica, sulle basi inscindibili della democrazia e del lavoro».
Alcuni anni dopo, nel 1955, aprendo una serie di conferenze organizzate da giovani studenti, Calamandrei espresse concetti tuttora vitali. «La Costituzione – disse – non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. È un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica». E aggiunse: «La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi di non sentire mai». Dobbiamo vigilare: la Costituzione, come ogni prodotto umano, non è perfetta, ma rimane per ciascuno di noi «la carta della propria libertà, della propria dignità di uomo».C’erano una volta un re e un duce, ma non ci sono più. Oggi ci siamo noi.