Palmanova città fortezza ideale ma il nemico non arrivò mai
20
NOVEMBRE
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Franco Cardini e il richiamo al Deserto dei tartari per raccontare l’ossessione turca Grande partecipazione ieri al Nuovo. La morale: «Non fu e non è scontro di civiltà»
di VALERIO MARCHI
«Non abbiamo imparato granché dalla storia. Forse perché non è vero ch’essa sia Maestra di Vita». Scrive così Franco Cardini nel suo libro “L’Islam è una minaccia” (Falso!), edito da Laterza. Ma, forse, se non impariamo abbastanza è perché rimaniamo in una «pervicace ignoranza», di cui «la nostra paura è solo una funzione, la più miserabile». Certo, anche conoscendo meglio il passato non disponiamo di soluzioni automatiche per il presente; quanto meno, tuttavia, possiamo capire meglio alcuni fenomeni. E non è poco.
Viviamo tempi difficili e la situazione – aggravata dall’insorgere in Europa di nuovi, anacronistici nazionalismi – non migliorerà facilmente. A maggior ragione, allora, il bisogno di convivenza e di integrazione si fa sentire sempre più. Al tempo stesso, studiare la storia è un’urgenza. E chi sostiene che Europa e Islam siano da sempre nemici non conosce bene il passato, che fornisce invece modelli di convivenza effettiva.
I turchi – osserva ancora Cardini – non rappresentavano tutto l’Islam, e quando guerreggiavano con l’Occidente l’Impero persiano ne approfittava. Se poi attaccavano la Spagna o Venezia, gli Asburgo d’Austria si sentivano alquanto sollevati; d’altra parte, se attaccavano gli Asburgo d’Austria, Venezia e la Spagna non si strappavano i capelli; i francesi, intanto, erano sempre pronti ad allearsi col governo ottomano. Da esempi come questo potremmo dedurre che il nemico era (è?) più che altro la divisione interna.
Riferendosi, poi, al grande assedio turco a Vienna nel 1683, Cardini, che sull’argomento ha scritto una poderosa opera nel 2011, non accoglie l’idea di “scontro di civiltà”, così in voga anche oggi. Sostiene, infatti, che se anche la città fosse caduta non sarebbe cambiato molto (più o meno come per la conquista cristiana di Gerusalemme nel 1099: simbolica, importante, ma alla lunga insostenibile). Il nostro passato, certo, conosce un’«ossessione turca», come recita il titolo di un volume di Giovanni Ricci (edito dal Mulino) che racconta, dall’osservatorio ferrarese, quel “tormento” della società europea fra Quattro e Settecento, ricostruendo peraltro un fitto reticolo di legami e interscambi con musulmani, arabi, mori. E la densa lezione di Cardini ieri al Teatro Nuovo ha reso l’idea della complessità della storia, alla quale ci si deve accostare sempre con grande attenzione.
E Palmanova? A quale «ossessione» risponde? Il ventennio 1499-1517 è un periodo di grande paura, il Sultano è padrone di un impero enorme, i turchi minacciano continuamente l’Occidente (il Friuli ne sa qualcosa). La Serenissima si rivolge addirittura a Leonardo da Vinci, che ispeziona alcune fortezze e le trova inadeguate, con mura alte ed esili che i cannoni possono distruggere facilmente. Palmanova diventerà una sorta di “città ideale” concretamente realizzata, con la sua struttura a ennagono stellato. Ma una vera e propria “prova del fuoco” non l’ha mai avuta. Ha seguito così il destino «un po’ divertente, un po’ forse anche triste» – continua Cardini – di altre fortezze nate per fronteggiare un grande assalto (Grande Muraglia, Vallo Atlantico, Linea Maginot) e ci richiama alla mente il Deserto dei Tartari, dove il nemico non arriva mai. Tutti pensavano che un giorno avrebbe avuto il ruolo di salvare la Repubblica, ma la logica della guerra si sposterà altrove. Palmanova è un modello collegato anche ad altre “ossessioni”: quella della “città ideale” (senza esagerare con la simbologia: il 9 delle sue punte può essere letto come moltiplicazione del sacro numero 3 per se stesso, ma in origine dovevano essere 11, e furono ridotte perché costavano troppo) e l’altra – forse la più realistica – di contenere le mire espansionistiche del Sacro Romano Impero.