Assalto al palazzo d’Inverno: cent’anni fa l’Ottobre rosso
24
OTTOBRE
2017
dal “Messaggero Veneto”.
La società russa fu strappata da un sistema feudale e scaraventata nel Secolo breve Una rottura radicale con il passato e il tumultuoso irrompere delle masse popolari
di VALERIO MARCHI
Il centenario di Caporetto non può oscurare quello della Rivoluzione bolscevica. Secondo il calendario giuliano, allora in vigore nell’Impero russo, fra il 24 e il 25 ottobre 1917 (6-7 novembre del gregoriano) i bolscevichi, appoggiati dai marinai della base di Kronšadt e dalle “guardie rosse”, presero con una rapida e quasi incruenta azione il Palazzo d’Inverno a San Pietrogrado (così si chiamò, dal 1914 e il 1924, San Pietroburgo, poi Leningrado dal 1924 al 1991).
Da otto mesi quel Palazzo non ospitava più lo zar: Nicola II (ultimo dei Romanov, dinastia al potere da tre secoli) aveva abdicato in seguito alla Rivoluzione di febbraio: un rovesciamento di stampo liberale e borghese seguito da deboli governi provvisori, ma che aveva innescato eventi incontenibili. Lo zar aveva così iniziato a pagare errori suoi e dei suoi ministri. Nessuno, poi, aveva scordato la “Domenica di sangue” del 1905, allorché, dopo la tragica sconfitta russa con il Giappone il popolo, affamato e disperato, diretto al Palazzo d’Inverno per presentare una petizione, aveva subito una spietata repressione. Sempre nel 1905 si era formato a San Pietroburgo il primo soviet (“consiglio”), per creare una struttura diretta di potere rivoluzionario con la partecipazione dei lavoratori al processo decisionale: durò poco, ma nel 1917 i soviet sarebbero diventati basilari organi di rappresentanza degli operai nelle aziende e dei cittadini nelle città.
Nel marzo 1917 Nicola Romanov salì su un treno verso l’esilio. Un mese dopo, un altro treno (approntato dai tedeschi, con l’aspettativa di creare le condizioni per l’uscita della Russia dal conflitto) riportò in patria dopo 17 anni di esilio il primo dei bolscevichi, Lenin. Le sue “Tesi di aprile” scandirono le parole d’ordine che in ottobre, dopo agitate vicende, si sarebbero affermate: uscire da quella guerra «imperialistica e di brigantaggio», causa di immense perdite per l’esercito russo e di una crisi drammatica per il Paese; nazionalizzare le proprietà terriere; rovesciare il governo provvisorio; conferire tutto il potere ai soviet («unica forma possibile di governo rivoluzionario»)…
Da una struttura semifeudale e dagli esordi dei primi movimenti industriali e borghesi, la società russa fu proiettata, con straordinaria accelerazione, in un’esperienza sociale rivoluzionaria dagli esiti imprevedibili, la cui eco è ancora viva. Si trattò di una rottura così radicale con il passato, da consentirci di richiamare un solo precedente storico: la Rivoluzione francese del 1789, anch’essa fenomeno di portata al tempo stesso nazionale e internazionale, capace di infiammare rivoluzionari e masse popolari nel mondo. Ora, se la Rivoluzione francese inaugurò il cosiddetto “lungo Ottocento” (dall’emancipazione della borghesia nei confronti della nobiltà, fino all’inizio della Grande Guerra), quella bolscevica – secondo la periodizzazione scelta da Eric Hobsbawm – diede invece il via al “Secolo breve” del Novecento. Il 1917 ebbe come massimi protagonisti due Paesi che, attraverso decenni segnati dall’opposizione tra sistemi politici e sociali concorrenti, e tra ideologie e fedi antitetiche (in sostanza, la «guerra dei Trent’anni» del XX secolo, o la «guerra civile europea»: così si è espressa di frequente la storiografia per indicare il periodo 1914-1945), sarebbero subentrati all’Europa nell’egemonia mondiale. Ecco allora che espressioni quali “svolta epocale”, “spartiacque”, “dopo nulla fu più come prima”, o altre simili, oggi così spesso (ab)usate anche per eventi di secondario rilievo, si rivelano del tutto adeguate per la Rivoluzione d’ottobre, nel contesto di un anno e di un periodo assolutamente cruciali. Con la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda ha preso il via il cammino verso un mondo diverso, il terzo millennio, una nuova fase della storia. Non necessariamente migliore. Ci siamo dentro.