Udine, un focolaio contro l’Austria mentre nasceva l’Italia
17
MARZO
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Fuochi accesi al calar del buio, negozi chiusi, preghiere E la polizia austriaca sempre piú impegnata a reprimere
di VALERIO MARCHI
Il 17 marzo 1861, atto di nascita del Regno d’Italia: «Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia». Ma il Friuli, e solo nella sua parte centro-occidentale, dovrà attendere la Terza guerra d’indipendenza (1866). Per ricordare il 17 marzo, allora, abbiamo scelto un’angolatura particolare.
Ricorre in questo mese dell’Unità d’Italia, anche il 150° della visita in Friuli di Garibaldi, che poté così festeggiare pure sulla nostra terra l’unità proclamata sei anni prima senza il Veneto (ma anche senza il Trentino e il Lazio). Com’è noto, fu la Terza guerra d’indipendenza, nel 1866, a decidere l’annessione del Friuli centro-occidentale (che faceva parte del Veneto) al Regno d’Italia. A Udine, il 3 marzo 1867, il Generale parlò dal balcone centrale di palazzo Mangilli esclamando: «Popolo valoroso, finalmente è soddisfatto il mio desiderio di vederti libero e unito alla grande famiglia italiana, a cui eri ben degno di appartenere dopo tante sofferenze». Dichiarò poi l’«ardente desiderio» di lottare per acquisire le terre non ancora liberate e avere Roma come Capitale, concludendo: «Voi, bravo popolo, sarete l’avanguardia della famiglia italiana».
La strada era stata lunga e ardua. Nel 1861, in seguito agli sviluppi della Seconda guerra d’indipendenza, l’Austria concepì una cauta riforma costituzionale per smorzare il moto delle nazionalità, ma nel Veneto l’opposizione clandestina contribuì a determinare la scarsa adesione all’iniziativa di Vienna.
Un boicottaggio sollecitato anche dal Comitato Politico Centrale di Torino (nel quale agivano stimati friulani, fra cui Prospero Antonini) ebbe sostanzialmente buon esito, dando la percezione dell’orientamento prevalente dell’opinione pubblica.
Il Comitato Segreto di Udine e i Comitati periferici collegati prepararono varie iniziative. Innanzi tutto, il Comitato udinese, assieme ad altri, aveva organizzato con successo, poco tempo prima della proclamazione del Regno d’Italia, la raccolta di schede firmate dai rappresentanti di ogni Comune per un plebiscito segreto del Veneto a favore dell’Unità. Le schede, che passarono gli sbarramenti austriaci occultate in scatole di dolci o nelle bardature dei cavalli di posta, giunsero integre nelle mani di Cavour.
A Udine, inoltre, nel febbraio 1861, appena insediatosi il primo Parlamento italiano, la polizia austriaca dovette fronteggiare una città in festa, con tanto di chiusura dei negozi, preghiere per Vittorio Emanuele II, fuochi accesi al calare del buio, e così via. La repressione portò alla carcerazione di diversi cittadini e colpì anche esponenti illustri che, subito dopo la proclamazione del Regno d’Italia, subirono la deportazione in Moravia assieme ad altri patrioti, friulani o no. Nel frattempo, le impopolari disposizioni economiche e fiscali asburgiche attiravano decise antipatie.
In tale contesto, cercava di agire come poteva anche la stampa locale. A esempio, anche un apparentemente innocuo ricordo della patriottica figura di Ippolito Nievo (protagonista fra i Mille di Garibaldi a. ssieme a numerosi friulani), scritto da Camillo Giussani nel giugno 1861, aveva il suo peso e il suo significato. A cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, poi, l’emigrazione verso il Piemonte e, dopo la pace di Villafranca, verso la Lombardia o l’Italia centrale, aveva rafforzato la causa italiana.
A Udine, sempre nel giugno del 1861, si ebbe una clamorosa dimostrazione per commemorare lo scomparso Cavour: rimasero serrati gli esercizi commerciali, si formarono cortei popolari (con la nutrita partecipazione di professori e studenti) e fu innalzato un grande tricolore segnato a lutto mentre, nella Chiesa di San Pietro Martire si celebrava una messa funebre.
Dalla fine della guerra del 1859, sino agli epici (sebbene falliti) moti mazziniani del 1864 capitanati da Antonio Andreuzzi (il cui fine era quello della liberazione e dell’autodeterminazione, primo passo nella direzione di un grande obiettivo: l’Europa dei popoli) e oltre, si ebbero forme di protesta, talvolta pacifiche, talaltra aggressive (petardi, bombe carta o metalliche). Ma fu per altre vie che il 1866 avrebbe poi consegnato parte delle nostre terre all’Italia.