Garibaldi: «Popolo valoroso felice di vederti libero»
2
SETTEMBRE
2016
dal “Messaggero Veneto”.
Il discorso del generale nel 1867 a Udine dal balcone di palazzo Mangilli
di VALERIO MARCHI
Fine luglio di 150 anni fa: le truppe italiane entrano a Udine. Sette mesi dopo, alle 14 del 1º marzo 1867, accogliendo a Venezia l’invito di una delegazione friulana formata da Titta Cella, Francesco Rizzani e Francesco Tolazzi, arriva in città per celebrare l’evento, in vista delle elezioni politiche, l’uomo che agli occhi dei più incarna meglio di chiunque altro – nel bene o nel male, secondo i punti di vista – il Risorgimento e l’Unificazione: Garibaldi, la cui figura già ondeggia fra realtà e leggenda e che sarà trasformato, dopo la morte, in un mito, un «santo laico» (Lucy Riall) capace di catalizzare il consenso e l’entusiasmo delle masse.
Le cronache udinesi dell’epoca, presentandolo assai enfaticamente come «Eroe leggendario, Eroe del popolo, Duce dei Mille, Sommo patriota, Liberatore, Messia degli oppressi», descrivono frotte di persone – camicie rosse e veterani in testa – che intasano le strade a cominciare dalla Stazione. Le bande musicali, pronte all’accoglienza, sventolano i vessilli delle cittadine di Palmanova (che ospiterà Garibaldi il giorno dopo), Spilimbergo, San Giorgio di Nogaro, Cividale, San Daniele, Osoppo, Gemona, Tolmezzo… e non mancano «le bandiere dell’emigrazione istriana, triestina, goriziana, tirolese».
Accompagnato da altri noti protagonisti risorgimentali (Benedetto Cairoli – cittadino onorario di Udine – Francesco Cucchi, Giovanni Pantaleo e altri), il Generale, salito su una in carrozza e seguito da un lunghissimo corteo, sfila tra edifici imbandierati e infiorati. Attraversando borgo Aquileia, le vie del Duomo, Cavour, Poscolle (dove sosta con Caterina Percoto, discorrendo principalmente delle terre irredente) e piazza del Fisco (poi piazza XX Settembre), giunge infine in piazza dei Barnabiti (poi piazza Garibaldi). Lì, facendo ammutolire tutti gli astanti, prende la parola dal balcone centrale di palazzo Mangilli: «Popolo valoroso – esclama fra le altre cose – finalmente è soddisfatto il mio desiderio di vederti libero e unito alla grande famiglia italiana, a cui eri ben degno di appartenere dopo tante sofferenze. La tua generosità mi è ben nota…».
Dichiara poi che il suo «più ardente desiderio» è quello di lottare per acquisire le terre non ancora liberate e avere Roma come Capitale, concludendo: «Voi, bravo popolo, sarete l’avanguardia della famiglia italiana».
Nelle ore seguenti riceve rappresentanti della Provincia e varie Deputazioni (Guardia nazionale, Veterani e Reduci, Difensori d’Osoppo, Associazione agraria…). Quindi, proclamato presidente onorario della Società Operaia, esalta le scuole popolari e l’istruzione dei lavoratori. Altri discorsi suoi e dei suoi fedelissimi si tengono di sera, in uno straripante teatro Minerva.
Sollecitato dal pubblico a pronunciarsi sul clero cattolico, Garibaldi – pur precisando che vi sono anche «preti buoni» (ovvero, nella sua ottica, favorevoli alla causa italiana), in linea con l’accentuato anticlericalismo dell’epoca esclama: «I preti? Nemici d’Italia… Una masnada di ciarlatani… Credo sarebbe male schiantarli colla violenza, sbar. azzarcene, come meriterebbero; oggi che siamo forti, non credo vi sia bisogno di ricorrere alla violenza per sanare l’Italia da questo morbo… Lasciateli a sé, che dovranno cadere da se stessi… Dovete dire ai vostri rappresentanti che i milioni dell’alto clero vanno spesi a beneficio del povero che ha fame».
Nonostante l’invito alla calma, gli animi sono infiammati. Così, due settimane dopo, una nutrita folla manifesta contro l’Arcivescovo di Udine Andrea Casasola, tacciato di austriacantismo e «reo» di avere proibito la recita dell’Oremus pro Rege per il compleanno del Re. Fra urla, fischi, ingiurie e minacce, la sede arcivescovile viene assalita e invasa: immagini della Madonna e stemmi del presule vengono
lordati, molti vetri rimangono infranti, frasi intimidatorie riempiono i muri, interviene la forza pubblica. L’arcivescovo, nascostosi sulle prime in un vicino convento, si rifugerà poi per oltre un anno nel suo palazzo. Il Risorgimento è stato anche questo.