Il sacrificio di Osoppo: quel lungo assedio che ispirò la Percoto
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LUGLIO
2016
dal “Messaggero Veneto”.
Guerre d’indipendenza. Tra le vicende del Quarantotto brilla la resistenza del Forte. La Percoto romanzò lo strazio e le sofferenze degli osovani
di VALERIO MARCHI
UDINE. Il Quarantotto italiano viene indebolito da vari fattori: non ultimo, dopo l’iniziale favore alla causa italiana, l’inopinato dietrofront di Pio IX.
Nel frattempo, l’esercito austriaco può sfruttare non solo la disorganizzazione dei ribelli, ma anche le reciproche diffidenze tra il governo sabaudo e le guide rivoluzionarie, oltre che tra moderati e repubblicani, senza contare altri contrasti interni.
Riconquistate dagli asburgici Udine e Palmanova, rimane Osoppo, che ostacola i rifornimenti imperiali: lí, alla guida dei resistenti, è preposto il modenese Licurgo Zannini, audace e rigoroso, ma poco abile nei rapporti con gli ufficiali e con l’indocile presidio della cittadella: una guarnigione di poche centinaia di uomini (contro nemici assai piú numerosi), quasi tutti volontari, che lo stesso Zannini, pur esaltandone il valore, descrive come «piú avvezzi all’uso della zappa che del fucile»; né sono facili i rapporti con la gente locale, prostrata dall’assedio fra vessazioni, denutrizione e quant’altro.
Gli osovani, inoltre, non ricevono gli aiuti sperati dalla Repubblica instaurata a Venezia, anch’essa in difficoltà.
Il 12 maggio i difensori di Osoppo rifiutano di arrendersi e un mese dopo, a Pentecoste, proclamata l’annessione al Governo subalpino, issano solennemente sul punto piú alto (il colle “Napoleone”) la bandiera tricolore del Forte che inneggia all’Italia libera, scatenando le rappresaglie nemiche.
Il 25 giugno, informato della caduta di Palmanova, Zannini esclama: «Resisteremo fino alla morte!»; intanto, però, le sofferenze della popolazione e dei resistenti crescono sotto la morsa degli assedianti che, tra settembre e ottobre, sferrano attacchi risolutivi. Il 12 ottobre, considerando le misere risorse residue, la stanchezza e la riottosità dei militi, oltre che i patimenti dei civili, si firma una capitolazione che non sarà priva di code polemiche e processuali.
Comunque sia, gli austriaci, impressionati dal valore degli avversari, concedono l’onore delle armi (lo storico Ernesto D’Agostinis riferí: “L’inno imperiale salutò la bandiera del forte e per la prima e unica volta durante la guerra il vessillo austriaco si abbassò tre volte davanti al tricolore italiano”).
Non pochi dei membri del presidio – in primis Leonardo Andervolti, spilimberghese come Giobatta Cavedalis, altro protagonista dei fatti – raggiungeranno Venezia per le ultime resistenze, sino all’agosto 1849. Per inciso, era stato proprio l’Andervolti (che scrisse nelle sue “Memorie”: “La bandiera sembrava agli amici cosa celeste, ai nemici celeste meteora”) l’artefice del sopraccitato vessillo, oggi esposto al Museo del Risorgimento di Udine.
A immortalare gli eventi penseranno anche altri: a esempio Pasquale Della Stua, parroco di Osoppo, con le sue “Memorie” edite cinquant’anni dopo i fatti, e Caterina Percoto, che nel racconto “La donna di Osoppo” (1858) riecheggia ricordi dell’Andervolti e del Cavedalis, ma anche di Domenico Barnaba: costui, già partecipe dell’insurrezione di Udine, nel resoconto “Dal 17 marzo al 14 ottobre 1848” (1890) riferí di “una misera donna, sola al mondo col figliuoletto dai sei ai sette anni”, la quale, “non avendo piú modo di sfamarsi, pensò di abbandonare la sua casuccia e presentarsi alle file nemiche colla sua creatura, implorando la carità”.
Nella narrazione della Percoto una madre chiede aiuto al Cielo, pur presagendo la morte (lo scritto, d’altronde, ha come incipit il brano del Vangelo in cui Gesú, agonizzante sulla croce, grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”): mentre cerca disperatamente cibo per sé e per i figli la sventurata, abbattuta
da un soldato sordo alle suppliche, lascia orfane le sue povere creature.
L’Andervolti scrisse: “Nel libro del destino la nostra caduta era già da tempo segnata: pure resistemmo disperati piú di quanto le nostre forze ci avrebbero consentito”.