Quell’Italia in guerra fra grandi aspirazioni e un cuore neutralista
24
MAGGIO
2016
dal “Messaggero Veneto”.
L’anniversario del 24 maggio 1915. La minoranza interventista di intellettuali e imprenditori trascinò la massa di cattolici e socialisti e l’élite liberale
di VALERIO MARCHI
Il 24 maggio di cento uno anni fa l’Italia iniziava la guerra a fianco dell’Intesa contro Germania e Austria-Ungheria. Un giorno che è rimasto nella memoria del paese.
Lo studioso Valerio Marchi ricostruisce le ragioni di quella fondamentale pagina di storia.
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La tradizione risorgimentale era fortemente anti-asburgica. Ciononostante la Triplice Alleanza, con Germania e Austria-Ungheria, fu voluta da Depretis nel 1882 per motivi tattici e rinsaldata da Crispi con spirito conservatore e autoritario. Allo scoppio del conflitto, i nodi vennero al pettine e l’antica avversione sollevò serie difficoltà circa la posizione da assumere.
Vista la genesi del conflitto, solo l’indole difensiva della Triplice consentí agli Italiani di prendere tempo e di optare se e con chi scendere in guerra.
Davanti a un’opinione pubblica avversa all’intervento, il 3 agosto 1914 il governo Salandra aveva dichiarato la neutralità.
Salvo eccezioni, per diversi motivi masse lavoratrici, liberali giolittiani, movimento operaio e socialista e cattolici formavano un variegato fronte neutralista cui si opponeva una minoranza interventista ancor piú eterogenea, fra intellettuali, studenti, professionisti, imprenditori, giornalisti, alcuni socialisti democratici e rivoluzionari, i socialriformisti di Bissolati, radicali, repubblicani, esponenti conservatori, irredentisti e nazionalisti, futuristi e cosí via, tutti mossi, pur nella comune avversione a Giolitti e all’Austria, da spinte diversissime.
Dal completamento del Risorgimento alla lotta contro la “barbarie” dei paesi autoritari dell’Europa centrale, dalla conquista di un “posto al sole” fra le nazioni alla guerra stabilizzatrice dell’ordine sociale o alla rivoluzione per scardinare il decadente liberalismo giolittiano, sino al mito della “rigenerazione” collettiva.
La classe dirigente liberale seguí con ansia crescente le vicende belliche, temendo che l’Italia finisse per essere esclusa dalla ridefinizione degli equilibri mondiali, mentre i gruppi industriali, che speravano di trarre ingenti vantaggi dalla guerra, aumentavano la loro pressione.
Le autorità italiane, sollecitate tanto dagli Imperi centrali quanto dall’Intesa, alla fine decisero di schierarsi con quest’ultima (Patto segreto di Londra, siglato il 26 aprile 1915), che sembrava offrire quanto l’Austria non poteva e ci impegnava a intervenire entro il 26 maggio.
Occorreva costruire, intanto, un consenso politico irrobustito dalla monarchia e sostenuto dallo schieramento interventista: attraverso rumorose e ben studiate campagne propagandistiche, mosse principalmente da D’Annunzio e Mussolini, minoranze preparate e intraprendenti fecero prevalere le loro convinzioni rispetto a quelle, per lo piú taciturne e prive di opinioni saldamente stabilite, della maggioranza, secondo una fenomenologia tipica della società di massa.
La “radiose giornate di maggio” del 1915 riempirono le piazze di vigorosi militanti capaci di creare un clima che aiutò il governo e la Corona a superare le residue incertezze.
Già il 3 maggio, d’altronde, il governo aveva dichiarato nulla la . Triplice. Il 13 dello stesso mese Salandra, vista la perdurante posizione neutralista del Parlamento, diede le dimissioni e indusse il re a respingerle: si confermò cosí la fiducia al governo, con l’implicita assunzione che la volontà della minoranza organizzata coincidesse con quella del popolo.
Il 20 maggio solo i socialisti (peraltro incapaci, in seguito, di organizzare un’opposizione efficace) rifiutarono di votare i pieni poteri a Salandra, mentre gli altri, Giolitti compreso, aderirono volenti o
nolenti allo spirito “patriottico”.
L’Italia, dopo l’ultimatum all’Austria del 23, dichiarò guerra il giorno seguente.
Tuttavia, il nostro Paese era dilaniato da fratture che avrebbero pesato duramente sia durante sia dopo il conflitto.