Pietre d’inciampo, Udine colma un vuoto Alcuni Mendes sono già ricordati a Roma
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LUGLIO
2018
dal “Messaggero Veneto”.
La decisione di installare “pietre d’inciampo” a Udine è meritoria, colma un vuoto.L’espressione, ricavata dalla Bibbia (Isaia 28:16), rimanda all’iniziativa del 1993 dell’arti…
di VALERIO MARCHI
La memoria
La decisione di installare “pietre d’inciampo” a Udine è meritoria, colma un vuoto.
L’espressione, ricavata dalla Bibbia (Isaia 28:16), rimanda all’iniziativa del 1993 dell’artista berlinese Gunter Demnig in memoria dei cittadini (ebrei, oppositori politici, militari, rom, omosessuali, testimoni di Geova e altri credenti, disabili) annientati dai nazifascisti. È un progetto animato da ragioni etiche, storiche e politiche, che si oppone ad ogni forma di oblio e di negazionismo. L’Italia è entrata in questo circuito della memoria nel 2010, con la collocazione di trenta sampietrini dedicati a ebrei, politici e carabinieri in alcuni quartieri di Roma; poi l’iniziativa si è estesa a numerose altre città.
Per inciso, proprio a Roma, in viale delle Milizie, furono installate nel 2016 tre pietre d’inciampo per gli ebrei italiani Maurizio, Marcello e Umberto Mendes, stretti parenti di Leo Mendes, marito dell’udinese Bruna Gentilli. Bruna, con le sue tre sorelle, fu ospite dei Mendes di Roma durante una delle loro peregrinazioni causate dalle persecuzioni.
Purtroppo Maurizio, Marcello e Umberto, deportati ad Auschwitz in coincidenza con la razzia del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, non fecero più ritorno. All’inizio del loro tragico viaggio riuscirono a scrivere un biglietto e passando per il Friuli (probabilmente a Gemona) lo gettarono da una fessura del vagone in cui erano stipati, sperando di farlo giungere ai Gentilli: riferivano di essere diretti «verso l’Italia settentrionale e forse oltre». Qualcuno, incredibilmente, raccolse il messaggio e lo consegnò ai destinatari. Ma, ovviamente, ciò non fu per loro di alcuna utilità.
Demning ideò una soluzione discreta e priva di retorica, ma di notevole impatto. I semplici blocchi di pietra delle dimensioni dei sampietrini che recano incisi, sulla superficie di ottone lucente, i dati identificativi dei deportati, diventano una sorta di monumento incorporato nel suolo: non emergono, ma vi si “inciampa” (a livello mentale, è chiaro: è un invito alla riflessione).
Le “pietre d’inciampo” vengono collocate in genere nei pressi dell’ultima abitazione delle vittime, prelevate per essere deportate e incenerite o gettate in fosse comuni, privando i famigliari e i loro discendenti persino di un luogo in cui ricordarle. Ora i deportati possono tornare idealmente nei loro luoghi di provenienza per essere ricordati da parenti, coinquilini e cittadini.
Si realizza, così, una vasta mappa europea della memoria, una sorta di monumento diffuso. Le caratteristiche di questo progetto favoriscono non solo l’integrazione urbana e l’intreccio fra passato e presente, individuo e collettività, memoria privata e pubblica, ma anche la ricerca storica e il coinvolgimento dei sopravvissuti, delle famiglie dei deportati, degli studenti.
Il successo è testimoniato sia dalle oltre cinquantamila pietre già installate in Europa sia dal numero e dall’importanza di enti che se ne occupano o che danno il loro patrocinio.
Il Presidente della Repubblica concede ogni anno all’iniziativa l’Alto patronato. Nel Comitato promotore troviamo l’Aned (Associazione nazionale ex deportati), l’Anei (Associazione nazionale ex internati), il Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea), l’Irsifar (Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza), la Federazione delle Amicizie ebraico cristiane italiane, il Museo storico della Liberazione. Nomi di spicco formano inoltre sia il Comitato scientifico che quello organizzativo.