La Resistenza sotto tortura: le colpe dei nazisti e di Salò
20
MAGGIO
2018
dal “Messaggero Veneto”.
Mimmo Franzinelli è al festival èStoria con il libro “Tortura. Storie dell’occupazione nazista e della guerra civile (1943-45)”, Mondadori. Oggi converserà con Antonio Carioti, alle 10, in sala Della…
di VALERIO MARCHI
Mimmo Franzinelli è al festival èStoria con il libro “Tortura. Storie dell’occupazione nazista e della guerra civile (1943-45)”, Mondadori. Oggi converserà con Antonio Carioti, alle 10, in sala Della Torre, alla Fondazione Cassa di Risparmio in via Carducci 2. Il libro ripercorre anche episodi relativi al Friuli come Franzinelli spiega in questa intervista.
Venti mesi intercorsi fra l’8 settembre 1943 e la Liberazione. Uno scontro totale in cui il valore della vita si degrada fino a perdere di significato. Un dolore che solo chi è stato torturato conosce.
«A che pro – si chiedeva un sopravvissuto – esporre una sequela di sevizie che disonorano l’umanità?». Le giriamo questa domanda.
«Prima di tutto, mancava una trattazione su un argomento il cui rilievo è straordinario: basti dire che la maggior parte dei partigiani fucilati passarono prima attraverso sevizie di cui poco si conosce. Sono vicende estreme che è doloroso ripercorrere; tuttavia, sarebbe ipocrita non farlo».
Ma erano tanti o pochi quelli che resistevano alle torture?
«Pochi. Però dobbiamo essere cauti nel giudicare, specialmente dopo aver letto la descrizione dei tormenti subiti. Quanti di noi avrebbero retto?».
Quali fonti ha utilizzato?
«Più che in altre ricerche, ho sentito l’esigenza – anche a mia tutela, visto che faccio nomi e cognomi – di utilizzare una molteplicità di fonti».
Ci fa un esempio di documenti particolarmente significativi?
«Oltre alle testimonianze personali, direi alcune fonti ecclesiastiche prodotte in tempo reale, come quelle dei cardinali Schuster a Milano e Piazza a Venezia, i quali, informati dai cappellani dei carceri, fecero consegnare a Mussolini dossier delle torture praticate nelle settimane precedenti».
Lei sottolinea anche la valenza “investigativa” delle torture.
«Con la tortura si carpivano informazioni indispensabili per debellare intere reti. Purtroppo, molti gruppi partigiani non erano adeguatamente organizzati in compartimenti stagni; così, il cedimento di un prigioniero innescava catture a catena».
Dunque la tortura ha avuto un ruolo ragguardevole nell’opprimere la Resistenza.
«Sì. Ma va anche detto che le notizie circolavano, facendo inasprire le tensioni, e la Repubblica Sociale Italiana ne uscì tutt’altro che rafforzata a livello di opinione pubblica».
La ferocia dei supplizi innescò non poche ritorsioni.
«Certo. L’ondata di risentimento si ritorse contro la Rsi, che li aveva praticati a livello istituzionale».
Alcuni, però, sostengono che la Rsi fungesse da moderatrice delle brutalità naziste.
«Falso. C’erano molte squadre speciali che stavano con un piede nella Rsi e l’altro nell’organizzazione tedesca. Mussolini, poi, intervenne solo in modo sporadico o tardivo».
Nel libro si evidenziano anche torture praticate da partigiani.
«Iniziative di singoli, che violavano le norme del Cln; alcuni seviziatori, infatti, furono puniti dagli organi della Resistenza. Il fenomeno va rilevato, ma chiarendo sia la notevole diversità quantitativa sia il fatto che non rivestì mai carattere istituzionale».
Niente a che fare, dunque, con le ricostruzioni di Pansa.
«Già. Quelle sono visioni romanzate che generalizzano e decontestualizzano singoli episodi, fornendo una visione astorica e deformata degli eventi».
Non mancano, poi, terribili storie di donne.
«Per lungo tempo taciute, peraltro, in primis per il naturale pudore di chi aveva subito atroci violenze sessuali. Il dossier che emerge, soprattutto da fonti memorialistiche e testimonianze di compagni di carcere, è impressionante».
A proposito di violenze anche sessuali, Pasolini ci aveva visto giusto girando “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.
«Certo, e sono convinto di avere individuato alcuni casi incredibilmente analoghi a quelli denunciati da Pasolini, che credo abbia avuto informazioni in merito».
Infine: abbiamo fatto i conti con la nostra storia?
«No. Sì è caricato sulla dimensione tedesca tutto il peso delle responsabilità. E molti, troppi l’hanno fatta franca».