Chaplin e Carnera due miti del Novecento amici fuori da set e ring
27
DICEMBRE
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Quarant’anni fa la morte di Charlot, cinquanta quella di Primo Accomunati da emigrazione, stenti e da una fama planetaria
di VALERIO MARCHI
Abbiamo ricordato i 40 anni dalla morte, a Natale, di Charlie Chaplin. Qualche mese fa, invece, i 50 da quella di Primo Carnera. Non tutti lo sanno, ma il piccolo Charlot – che amava la boxe – e il gigante friulano si conobbero e scherzarono assieme.
Si disse che le scarpe di Carnera (numero 52!) erano famose tanto quanto quelle di Charlot. Ma se, da un lato, la fama mondiale accomunava i due personaggi, dall’altro una quarantina di centimetri e una sessantina di chili, oltre a origini e talenti diversissimi, parevano confinarli in mondi lontanissimi. Assai diverso era per molti aspetti anche il loro carattere: geniale, complesso e controverso quello del grande cineasta; semplice, limpido e bonario (sebbene, per qualche aspetto, andrebbe riconsiderato più a fondo) quello dell’unico pugile italiano capace di salire sul tetto del mondo dei pesi massimi.
Eppure, come capita talora in casi del genere, l’incontro fra i due ci fu (non su un vero ring, ovviamente). Entrambi, d’altronde, avevano trascorso anni giovanili di stenti e sofferenze, e almeno per questo si potevano intendere. Non solo: Carnera, la “Montagna che cammina”, l’“Uomo dal pugno che uccide”, possedeva uno spiccato senso dell’umorismo, dell’ironia e dell’autoironia, e si trovava a suo agio su palcoscenici d’ogni tipo: dal circo al cinema, dall’avanspettacolo (si pensi al successo della tournée con Renato Rascel) alla televisione (indimenticabili le partecipazioni a “Lascia o raddoppia?”, “Il Musichiere”) e poi alla pubblicità (il Punt e Mes, la Magnesia San Pellegrino, gli elettrodomestici Zanussi, la Necchi…). Non per niente fu anche fenomeno da baraccone, campione di catch (un coagulo di violenza e recitazione che fu per lui una soluzione dignitosa dopo l’abbandono della boxe), attore, cantante (improvvisato, ma alquanto compiaciuto di sé), ricercatissimo veicolo pubblicitario. E divenne fumetto, gadget, quadro, scultura…
Primo di Sequals, tra Hollywood e Cinecittà, recitò dal 1933 al 1959 in una ventina di film. Con ruoli in genere marginali, ma sempre con l’aura di chi è una leggenda vivente. E si trovò al fianco di attori quali Jack Dempsey, Joan Fontaine, Bob Hope, Sylva Koscina, Otto Kruger, Myrna Loy, Vincent Price, Gino Cervi, Luisa Ferida, Massimo Girotti, Amedeo Nazzari, Paolo Stoppa, e persino Totò… Conobbe da vicino anche Mussolini, che nel 1940 Chaplin irrise nel suo capolavoro “Il grande dittatore”. Il regime fascista usò Carnera sinché fu all’apice della fama, ma lo scaricò nel momento del declino. Il duce, peraltro, non fu certo l’unico ad abbandonarlo, ma Primo non si diede mai per vinto: seppe infatti sempre proporsi in altre vesti, tracciando una vita come un romanzo, una favola, un dramma, un film che ancora oggi gustiamo, come avviene davanti alle pellicole immortali.
In qualche modo, d’altra parte, di film Primo ne sapeva qualcosa. Infatti, come chiarisce Daniele Marchesini nel suo Carnera (pubblicato dal Mulino nel 2006, centenario della nascita del campione), il suo personaggio fu costruito secondo meccanismi e riti codificati dello star system, all’epoca già collaudato nel mondo cinematografico: il film viene pensato, proposto e realizzato in funzione dell’attore e non viceversa; l’industria culturale viene adattata alla creazione, al mantenimento, alla celebrazione di divi funzionali al mercato di massa; l’esposizione al pubblico e alla chiacchiera collettiva risultano essenziali per la costruzione del mito. Così, più che Primo, Carnera divenne unico.