La violenza sulle donne come offesa per i nemici
30
OTTOBRE
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Alla rotta fecero seguito atroci episodi su migliaia di friulane
di VALERIO MARCHI
Ottobre 1917: alla rotta di Caporetto fanno seguito atroci violenze inflitte dagli invasori a migliaia di donne friulane e venete.
Nel frattempo, si tiene a Roma un congresso organizzato dall’Associazione per la donna.
Oltre al diritto di voto, i movimenti femminili mirano a diversi obiettivi: istruzione, legislazione sociale, riforme del diritto di famiglia e del lavoro…
Non solo, ma contestano il trattamento ingiurioso dei tribunali verso le donne vittime di violenza sessuale e chiedono misure quali l’educazione sessuale a scuola e l’abrogazione del matrimonio riparatore per stupro.
Durante il convegno, Margherita Ancona si esprime con notevole realismo: «Alle donne che sperano nella bontà del legislatore vorrei chiedere: cosa pensate che sarà dopo la guerra? Leggano quelle donne i giornali, sentano i discorsi dei politici, e senza bisogno di essere dotate di spirito profetico vedranno profilarsi la politica antifemminista di domani». Sa ciò che dice, visto che il sacrificio femminile sarà presto accantonato dalla classe politica italiana.
È vero che, da un lato, una legge del 1919 riconoscerà la capacità giuridica alle donne (le quali, prive di diritti, erano sottoposte all’autorizzazione maritale o paterna per lavorare o aprire conti in banca, non potevano vendere o comprare, né esercitare libere professioni…), ma dall’altro il regolamento attuativo disporrà esclusioni ed eccezioni che cadranno solo nel secondo dopoguerra.
Tanto le necessità belliche, quanto alcune forme d’interventismo femminile, hanno dato vita a una mobilitazione di massa delle donne dal fronte interno sino alle trincee della Grande Guerra, facendole avanzare sulla via dell’emancipazione; nondimeno, al termine del conflitto torneranno in buona parte ad essere gli “angeli del focolare”…
E la memoria della guerra verrà a lungo declinata quasi soltanto al maschile.
L’esperienza bellica ha peraltro causato alle donne un terribile surplus di violenze, sopraffazioni, sradicamenti.
Fatalmente, nel generale coinvolgimento dei civili tipico della “guerra totale”, la violenza colpisce ambo i sessi; quando le vittime sono donne, tuttavia, essa riguarda di frequente la sfera sessuale (prostituzione forzata o abusi sessuali) e il corpo femminile diventa un oggetto su cui infierire anche per offendere, attraverso la donna, l’intera nazione nemica.
All’epoca, peraltro, gli stupri rientravano fra i “delitti contro l’onore femminile”, e il codice penale italiano includeva la violenza sessuale tra i “delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie” (soltanto nel 1996 la nostra legge la considererà reato contro la persona).
Sulla violenza di guerra contro le donne in generale, ma anche nello specifico di Caporetto, disponiamo di studi recenti.
Per citarne alcuni, ricordiamo innanzitutto “Senza via di scampo. Gli stupri nelle guerre mondiali” di Michele Strazza (Consiglio regionale della Basilicata, 2010), specialmente nella sezione intitolata “Dopo Caporetto”.
Nel 2014, poi, un capitolo del libro di Aldo Cazzullo “La guerra dei nostri nonni” (Mondadori, 2014) riguarda “Lo stupro del Friuli. La violenza sulle donne e gli orfani dei vivi”.
Nel 2016, ancora, Elpidio Ellero ha riferito circa i libri storici delle parrocchie e la violenza sulle donne (“Le donne nella Prima guerra mondiale in Friuli e nel Veneto”, edito da Gaspari).
E sempre l’anno scorso Ilaria Zamburlini ha trattato, in un volume curato per la Lint da Tancredi Artico, “Le violenze sulle donne durante l’occupazione austro-ungarica 1917-1918. Un’indagine archivistica sul territorio della Curia di Udine”.
In anni precedenti hanno scritto anche autori quali Laura Calò, Daniele Ceschin, Antonio Gibelli. Queste e altre ricerche spalancano una sorta di “museo degli orrori”.
Ai nostri giorni, oltre ai conflitti veri e propri, una guerra subdola continua fra molestie, stupri e femminicidi, senza bisogno di essere dichiarata.