«Il declino italiano? I partiti e l’occasione persa negli ’80»
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LUGLIO
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Piero Craveri, con “L’arte del non governo”, è uno dei tre finalisti del Friuli Storia «Le ideologie contrastanti ignoravano gli equilibri di mercato e il conto fu salato»
di VALERIO MARCHI
Lo storico Valerio Marchi conclude con questa intervista a Piero Craveri, il trittico degli autori finalisti al Premio Friuli Storia. A settembre la proclamazione del vincitore
Professore, il sottotitolo del suo libro presenta un «inesorabile» declino della Repubblica. Ma nel dopoguerra le cose promettevano meglio… «Inizialmente l’Italia fu governata bene. Il liberismo italiano, che aveva come caposcuola Luigi Einaudi, ebbe un’impostazione vicina al più progressista dei modelli liberali dell’epoca, quello tedesco, ispirato a un’idea di economia sociale di mercato. Ciò accompagnò il nostro “miracolo economico”, ovvero il confluire di una grande vitalità della società italiana e di un buon governo».
Quali, allora, le principali cause del declino?
«Dopo la prima crisi congiunturale italiana del 1963-’64, la classe politica non seppe affrontare i nuovi traguardi dello sviluppo che andavano cambiati. Nel 1963 raggiungemmo la piena occupazione. Ne seguì una forte spinta salariale, cui era necessario adeguare il sistema produttivo»
In quale modo?
«Con ordine e calibrando la spesa pubblica, al pari di altri paesi europei. Occorreva avviare la costruzione del nostro welfare: lo imponeva, fra l’altro, l’enorme flusso di emigrazione interna. E occorrevano scuole, ospedali, case, nuovi ammortizzatori ufficiali».
Invece, che cosa accadde?
«Impiegammo ben quindici anni per mettere a punto questo sistema, sprecando molto danaro e costruendo sistemi solo in parte efficienti. La cattiva gestione della spesa pubblica spinse lo Stato a sostenere le opere infrastrutturali ricorrendo sempre più al credito, che però non è un contenitore illimitato. Infatti la Banca d’Italia ne regolò l’afflusso tra i settori pubblico e privato. Ne soffrirono le attività economiche private, e il 1971 fu l’ultimo anno in cui il bilancio statale ebbe un avanzo privato. Nel 1966 il debito era al 35% sul PIL. A metà degli anni’70 era oltre il 60%»…
Rientra fra le cause del declino anche l’ideologismo dei partiti?
«Le ideologie contrastanti ebbero un peso notevole. Soprattutto, fossero quelle conflittuali dei comunisti o assistenziali della DC e dei partiti di governo, ignoravano gli equilibri di mercato, che poi facevano pagare inesorabilmente il conto».
È per questo che il titolo recita «L’arte del non governo»?
«Sì. I partiti tutti, dominati dalla preoccupazione di accrescere e mantenere il consenso elettorale, non avevano obiettivi chiari di sviluppo. Anche per questo si può parlare di una “democrazia incompiuta”».
Si poteva frenare il processo involutivo? In particolare, lei ha definito gli anni’ 80 un decennio di «occasioni mancate»…
«Fermare la crescita del debito e abbassare l’alto tasso di inflazione non era facile, ma era possibile in quegli anni ancora di relativa crescita del PIL. Si cauterizzò l’inflazione, ma aumentò a dismisura il debito, anche per gli alti tassi d’interesse su quello già accumulato. Quando entrammo nell’euro, il debito era già al 105% sul PIL e avevamo già perso le nostre grandi imprese private e pubbliche: Montedison, Fiat, IRI, Efim…».
A proposito, l’euro…
«Con l’euro ci siamo messi al riparo dal “rischio del cambio”, pagando tassi molto bassi di interesse sul debito. Ma resta il “rischio paese” che ogni tanto si palesa con lo spread».
Che cosa avremmo dovuto fare, allora?
«Adeguarci alle regole dell’economia tedesca, come richiesto dal trattato di Maastricht. Nel 2000 i tedeschi, con il governo Schröder, hanno ulteriormente stretto la cinghia e acquisito una superiorità competitiva, non solo verso il nostro Paese. Un governo europeo della moneta senza un parallelo governo europeo dell’intero sistema economico è un controsenso. Noi siamo rimasti in bilico, senza andare molto avanti. Solo la capacità del sistema delle imprese, ormai privato, ha impedito il crollo. Ma il sistema di governo rimane debole».