Il “Gigante buono” più forte del mondo ma tenero e generoso
28
GIUGNO
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Cinquant’anni fa la scomparsa del leggendario peso massimo Solcò frangenti straordinari ma fu anche vittima di ingenuità
di VALERIO MARCHI
Si spegneva cinquant’anni anni fa nella sua Sequals, dov’era nato nel 1906, l’unico pugile italiano che abbia conquistato il titolo mondiale dei pesi massimi. Autentico fenomeno di massa (si cimentò peraltro nel cinema, a teatro, in televisione, nella pubblicità, e diventò anche fumetto), Primo Carnera era l’Uomo più forte del mondo, la Montagna che cammina, il Gigante buono… e tenero e generoso, oltre che comunicativo e ironico, lo era davvero.
Solcò frangenti straordinari e gloriosi, ma anche controversi e drammatici. Vittima, spesso, della propria ingenuità e di scaltri approfittatori, divenne per i maligni, nei tempi di declino, il Gigante d’argilla o la Torre di gorgonzola. Rimase tuttavia un mito, e lo fu in primis per la comunità italo-americana, orfana di Rodolfo Valentino e di Enrico Caruso. «Quando Carnera passeggia su Broadway il traffico newyorkese si arresta», si diceva.
Alto un paio di metri, pesava circa 120 chili: commisurando all’attuale altezza media in Friuli, almeno 210 centimetri e 130 chili di muscoli. Il suo nome divenne un modo di dire: «È come un Carnera… Ma chi ti credi, Carnera?… Mangia, se vuoi diventare Carnera!». Aprendo un dizionario, leggiamo alla voce «Carnera»: «Persona di corporatura e di forza eccezionale».
Minato nel fisico dopo mille fatiche, morì nel 1967. Era il 29 giugno: un giorno e un mese che non segnarono per lui soltanto il momento in cui «l’ultimo gong era suonato», come disse Enzo Tortora, all’epoca conduttore della Domenica Sportiva. Per un curioso gioco del destino, infatti, fu il 29 giugno 1920 che, spinto dalla fame, emigrò in Francia dove, fra le altre cose, lavorò in un modesto circo impersonando «Juan lo spagnolo, terrore di Guadalajara»; nel frattempo praticava il pugilato. Il 29 giugno 1928, poi, lasciò il circo per avviarsi alla boxe professionistica. Il 29 giugno 1933, ancora, divenne campione mondiale battendo a New York Jack Sharkey. E il 29 giugno 1956, mentre era ormai un affermato lottatore di catch (specialità alquanto teatrale, che gli era congeniale e di cui ottenne il titolo iridato) trovò un erede nella boxe: Mario D’Agata (pesi gallo), secondo italiano a salire sul tetto del mondo.
«Primo Carnera offre all’Italia fascista il titolo mondiale assoluto. L’entusiasmo del Friuli per la superba vittoria»: così intitolava Il Popolo del Friuli per il trionfo del 1933. A Sequals e Spilimbergo «l’entusiasmo eruppe incontenibile» con un corteo e un’auto imbandierata, tappezzata di immagini del campione. E Mussolini si congratulò con un telegramma «alla nostra camicia nera vincente»…
Il fascismo, infatti, ne fece un formidabile strumento di propaganda, un emblema dell’improbabile «uomo nuovo» di «razza italica»: virile, titanico, invincibile. Salvo poi a scaricarlo (e così fece anche lo staff di Primo, ma non la gente) dopo le disfatte del 1934 e del 1935 contro due rivali – uno ebreo, Max Baer, l’altro di colore, Joe Louis – che, sgretolando la Montagna italiana, sbugiardavano le teorie razziali fasciste. Baer, con tanto di Stella di Davide sui calzoncini, lo atterrò undici volte, ma solo l’arbitro poté far desistere il Golia italiano. Come scrisse Rino Tommasi: «Per andare al tappeto undici volte bisogna avere il coraggio di rialzarsi dieci volte e Carnera lo fece con coraggio e dignità».
Di là dalle accuse (talora fondate, ma non risultano vere responsabilità di Carnera) di incontri addomesticati e intrecci malavitosi, il colosso friulano pensò solo a lavorare sacrificandosi con feroce applicazione, senza mai dimenticare i valori della famiglia e le umili origini. Dirà: «I pugni si danno e si prendono. Questa è la boxe, questa è la vita. Ho preso tanti pugni nella mia vita, veramente tanti; ma lo rifarei, perché sono serviti a far studiare i miei figli». Giovanna Maria, sua figlia, ha dichiarato: «Ci ha insegnato che nessuno rimane in cima per sempre e che il vero carattere di una persona si giudica da come affronta la discesa… Lo adoravo, ero rapita dal suo coraggio e dalla sua forza, sia fisica sia spirituale».
Fra quanti gli furono vicini fino alla sua morte non mancò Nino Benvenuti (cittadino onorario di Sequals dal 2001) che due mesi prima, anch’egli a New York, era diventato campione del mondo dei pesi medi.