Udine, centocinquant’anni fa la prima visita del Re d’Italia.
14
NOVEMBRE
2016
dal “Messaggero Veneto”.
Il 14 novembre 1866 Vittorio Emanuele II fu acclamato dalla folla
di VALERIO MARCHI
Fra i sacerdoti friulani filoitaliani e contrari al potere temporale della Chiesa spicca il nome dell’osovano Tomaso Christ (1827-1878), il cui padre, oriundo della Moravia, ha militato a suo tempo nell’esercito austriaco.
Don Tomaso auspica una realtà politica in cui Chiesa e Stato siano entità ben distinte e si possa – scrive – “migliorare il clero e unire le sparse membra della Patria”. Alla sua morte, la stampa liberale udinese lo ricorderà così: «Prete, si vantava figlio d’Italia, che amava come una dolce madre, e pregava il Cielo che la rendesse prospera e felice».
Quali date memorabili della sua vita, il sacerdote di Osoppo indica non solo la liberazione del Veneto nel 1866, la venuta di Garibaldi a Udine nel 1867 e la presa di Roma nel 1870, ma anche la visita di Vittorio Emanuele II nel capoluogo friulano il 14 novembre 1866: e non manca di descriverla, affiancando alle cronache dell’epoca la sua preziosa testimonianza.
Giunto da Venezia in stazione alle 10, il re, accolto in un grande padiglione, si muove verso Porta Aquileia su una carrozza “semplice e schietta”. In Castello esplode il primo di 101 colpi di artiglieria. Le campane suonano a distesa. Il popolo – annota ancora don Tomaso – è “oltre ogni credere numeroso, buono e festante”. Udine è “adorna di tricolori, di gaiezza e di movimento”. Alcune bandiere di Trieste e dell’Istria sono però “rivestite a lutto” accanto a una scritta che riecheggia la frase del sovrano: “L’Italia è fatta, ma non compiuta”. Nondimeno, don Tomaso è fiducioso: “Col tempo, e ancora di più con l’aiuto di Dio e di Maria, tutto si unirà”.
Affiancato dal sindaco Giuseppe Giacomelli, il re procede solcando un “gran mare di gente”. Vestito “semplicemente, da civile”, pare un cittadino qualunque. Lo scortano membri della Società operaia, guardie nazionali, granatieri, lancieri. Giunge infine al palazzo Antonini-Belgrado, che ha già avuto ospiti illustri quali papa Pio VI, lo zar di Russia Paolo I, Napoleone I, Francesco I d’Austria, e che nel 1903 accoglierà Vittorio Emanuele III.
Mentre si affaccia dal balcone, tra la musica e una folla straripante sfilano le truppe: innanzitutto la bandiera di Osoppo con alcuni reduci del 1848, poi un garibaldino di Trieste con un drappo avvolto in un velo nero, mentre le guardie nazionali passano schierate; seguono le fanterie regolari, l’artiglieria e numerosi soldati italiani appartenuti sino a poco prima all’esercito imperiale: ancora in divisa austriaca, ma senz’armi. Da ultima, la cavalleria. Il re riceve le autorità civili, militari ed ecclesiastiche.
Una tombola popolare e corse di cavalli allietano il pomeriggio in Giardin Grande dove, al comparire del sovrano, si avvera – così sostiene enfaticamente la stampa udinese – “un nuovo plebiscito, questa volta non imposto, ma che sorge spontaneo dal seno della massa”.
Anche di notte si fa festa tra musica, canti popolari e spettacoli nella città illuminata, con effetti straordinari presso la piazza che ora porta il nome del re e la Loggia del palazzo civico, il campanile del Duomo, il palazzo. dell’Arcivescovile, la Madonna delle Grazie, la chiesa di San Giacomo con la piazza antistante, e poi in Mercatovecchio e in Castello, dove l’angelo segnavento della chiesa di Santa Maria regge un tricolore.
Nel frattempo il re visita il Teatro Minerva mentre va in scena l’opera Un ballo in maschera e presenzia alla festa da ballo popolare. Lascia Udine all’alba, raggiungendo la stazione tra file di persone che impugnano fiaccole accese. Non tornerà più, se non di passaggio in treno nel 1873, diretto verso Vienna e Berlino.
“L’Italia è risorta: una nuova vita, splendida e felice, l’attende. Sentinella avanzata d’Italia, Udine sarà degna dei nuovi destini”: così si esulta alla visita del re sabaudo. Ma circa gli effettivi “nuovi destini” dei Savoia, dell’Italia e del Friuli, ben poco si può ancora immaginare.