La censura austriaca non frenò Udine dalla corsa alla libertà
21
LUGLIO
2016
dal “Messaggero Veneto”.
Scriveva Antonini: «La città è favorevole alla buona causa» Terra patriottica, la nostra, dopo il voltafaccia di Napoleone
di VALERIO MARCHI
Nel 1858, sei mesi prima della Seconda guerra d’indipendenza, Prospero Antonini scrive a Guglielmo de Rinoldi (i due, esuli in Piemonte, sono i principali punti di collegamento con i patrioti friulani): “Lo spirito pubblico a Udine mi pare favorevole alla buona causa”. Anni dopo, Giuseppe Giacomelli ribadirà che in Friuli si accresceva la “bramosia vivissima” della libertà.
Fra il 1849 e il 1859, nonostante la censura austriaca, la stampa udinese (coadiuvata da organismi culturali quali l’Accademia di Udine, l’Associazione Agraria Friulana, il Gabinetto di Lettura, l’Istituto Filarmonico, la Camera di Commercio e Industria) si adopera per formare l’opinione pubblica sui problemi politici e per illustrare tematiche economiche legate al progresso: basti ricordare la vivacità dell’Annotatore Friulano, con Pacifico Valussi in primo piano.
Il 1859, dunque, non trova un Friuli apatico, né viene meno il fermento patriottico dopo il voltafaccia di Napoleone III, circa il quale Valussi ha testimoniato: «Era da diventar pazzi davvero dopo la sicura speranza in cui s’aveva vissuto e nessuno voleva crederci». E il Giacomelli: «La pace di Villafranca fu un colpo durissimo, una disillusione amarissima, della quale non ci si dava pace. Ma vennero le parole confortatrici: Cavour, a Gabriele Luigi Pecile che gli chiedeva delle sorti del Veneto, rispose che il giorno della liberazione non era lontano».
A Udine nasce una filiale della Società Nazionale (la Sezione V del Comitato Politico Segreto – cui fanno capo comitati distrettuali -, dipendente dal Comitato centrale di Padova e da quello centrale veneto di Torino): come ricorderà ancora Giacomelli, dirigente del Comitato udinese, a Udine e Provincia operava dunque «un grandioso e ben concepito meccanismo».
Fra combattenti friulani del 1859 rievochiamo per tutti la figura di Luigi De Paulis, sebbene meno noto di altri (Andreuzzi, Cella, Ciotti, di Prampero, Tolazzi…). A Zompicchia di Codroipo, dove nacque nel 1834, una lapide e una via ne tengono viva la memoria. Morì il 24 giugno nell’infernale ecatombe di Solferino e San Martino, tra fulmini e grandine.
Questi i fatti: nonostante sia un sorvegliato speciale degli austriaci, il De Paulis riesce a partire da Tarcento, dove lavora come commesso. Nel giorno di Pasqua, passando per Lombardia e Svizzera, raggiunge altri friulani emigrati in Piemonte per servire volontariamente la patria. Bersagliere, lotta subito in prima linea e, il 5 giugno, celebra la vittoria di Magenta osservando con fierezza: «Dal giorno che ci vedemmo a Torino ho sempre camminato per aspri sentieri ora a passo lento, ora di corsa; ho dormito sempre sulla nuda terra; ho mangiato poco e male; ho patito ardentissima sete, eppure sono sano e allegro».
Tra il 23 e il 24 giugno, al fianco dell’udinese Adolfo Luzzatto e di altri compagni d’armi, si trova sui monti di Lonato del Garda per aggregarsi ai francesi, che però ingiungono di dirigersi verso San Martino per aiutare la I Divisione. Il Luzzatto riferirà: «Verso sera, allorché stavamo per respi. ngere definitivamente gli austriaci, De Paulis, già ferito, cadde colpito al di sopra della bocca.
Egli si comportò da prode e continuamente incoraggiava i soldati. La Patria ha perduto in lui un intrepido figlio, io il migliore amico e commilitone».
Di nuovo il Luzzatto lo ricorderà come un Apostolo della Patria, della Libertà, riferendo che il povero giovane aveva ricevuto «prima una fucilata alla mano destra, poi una alla testa, irrorando del suo sangue il terreno dove sorgeva l’Italia da lui tanto sospirata». Prospero Antonini,
poi, scriverà di lui: «Testimoniò col sangue la sua fede e per l’italico riscatto diede volonteroso la vita». Altri infine riferiranno che, gravemente ferito, fu invitato a ritirarsi dalla mischia, ma rispose: «Finché ho sangue voglio combattere. Viva l’Italia!».