Il Friuli visse così quel giorno
2
GIUGNO
2016
dal “Messaggero Veneto”.
di VALERIO MARCHI
Sconfitta nel secondo conflitto mondiale e dilaniata da una successiva guerra che era stata allo stesso tempo civile e di liberazione, l’Italia, già prostrata materialmente, viveva anche un angoscioso clima morale e politico. Era vitale ricostruire dalle macerie, scegliere la forma dello Stato, darsi una Costituzione. Di fatto, le ultime elezioni libere risalivano al 1921. Dopo l’8 settembre del 1943, di fronte all’esigenza di unità contro il nazifascismo, la questione istituzionale era stata accantonata. Poi, dopo liberazione di Roma (avvenuta nel giugno 1944), Vittorio Emanuele III aveva concesso la luogotenenza del Regno al figlio Umberto, attendendo gli eventi. I partiti del Comitato di Liberazione Nazionale diedero vita a un nuovo governo. Si stabilì che il popolo avrebbe votato sia per l’Assemblea costituente sia per un referendum (finalizzato alla scelta tra monarchia o repubblica). Fra il 2 e il 3 giugno 1946 il voto si espresse, fra un sud Italia monarchico e un nord repubblicano, nel cuore di una spaccatura: da una parte si esclamava “o la Repubblica o il caos”, dall’altro i monarchici insistevano sulle incognite del “salto nel buio”. Gli aventi diritto al voto in quell’occasione erano 28 milioni. Per l’Italia era la prima votazione nazionale a suffragio veramente universale, maschile e femminile, e nonostante tutto si percepiva uno spirito di grande voglia, di ottimismo, di speranza per il futuro. L’affluenza alle urne fu elevatissima, per certi aspetti quasi festosa ma ordinata, per gustare l’avvento della libertà, del rispetto, della legalità. Le linee politiche della Costituente (cattolica, socialista, liberale) trovarono un punto d’incontro nel testo costituzionale che, dopo laboriosi sforzi, sarebbe entrato in vigore il primo gennaio 1948, anno segnato peraltro da un clima politico assai teso. Nel frattempo si dichiarava, in un documento assolutamente straordinario, di ispirarsi ai valori del lavoro, dell’eguaglianza, della libertà, del ripudio della guerra, con istituzioni liberal-democratiche in una Repubblica parlamentare. Oggi, non conoscere la Costituzione significa disperdere la nostra storia, la nostra identità sulla quale è stato costruito il Paese. Il credito della monarchia, ancora consistente, pagava soprattutto lo scotto delle ultime fasi della sua epopea. Il 18 giugno del 1946 la Cassazione, esaminati voti nulli e schede bianche, emanò il verdetto finale sancendo la vittoria della Repubblica con un vantaggio di circa due milioni di voti. Ma l’ufficialità dell’esito si era già avuta il 10 giugno precedente e Pietro Nenni aveva dichiarato che si placava così, infine, la memoria di Giacomo Matteotti (ucciso il 10 giugno di ventidue anni prima) e dei morti “sacrificati dalla criminale guerra fascista proclamata sei anni orsono” (in particolare il 10 giugno 1940). La situazione rimaneva tuttavia scabrosa: voci di un colpo Stato, massicce e talora drammatiche manifestazioni di piazza, accuse di brogli, minacce di secessione del sud, e così via. Quando il 13 giugno il Consiglio dei ministri dichiarò decaduta la monarchia, aleggiava l’incubo di una guerra civile; ma Umberto II (divenuto re un mese prima, all’abdicazione del padre) partì per l’esilio. Iniziava una nuova era. La nostra. Rispetto al resto del Paese, in Friuli la Resistenza, fondamentale sorgente dei princìpi che informano la nostra Costituzione, inizia prima e termina dopo, distinguendosi altresì per altri dolorosi e ben noti fattori legati alla particolare posizione geografica. Così, mentre altrove si festeggia la fine del conflitto, in Friuli, a Trieste e in Istria la guerra si trascina oltre la guerra stessa. Repubblica e riforma regionale – di pari passo con suffragio universale, libertà d’espressione e altri caratteri schiettamente democratici – sono ideali giunti a maturazione proprio durante la Resistenza, ideali che poche settimane dopo la fine del conflitto Tiziano Tessitori – poi eletto deputato alla Costituente – elabora concretamente sul giornale udinese Libertà, organo del Comitato di Liberazionale Nazionale. Si progetta una Regione Friuli staccata dal Veneto, capace di riagganciare a tempo debito la Venezia Giulia (nome coniato da Graziadio Isaia Ascoli nel 1863) in seno ad una Repubblica riorganizzata su base regionale. Solo alla fine del 1963, quindi anni dopo la soluzione delle intricate e dolorose questioni del confine orientale del Paese e con grave ritardo rispetto al dettato costituzionale, nascerà ufficialmente la Regione Friuli-Venezia Giulia. Gorizia, Trieste e l’Istria, stante la situazione vigente nel 1946, non partecipano alle consultazioni del 2 giugno. Nella provincia di Udine le elezioni per l’Assemblea Costituente premiano la Democrazia cristiana (oltre il 46 per cento) e il Partito socialista italiano di unità proletaria (oltre il 31 per cento), mentre il referendum registra il 63,32 per cento di voti per la Repubblica contro il 36,68 per cento della monarchia. In Udine città poco più di 22 mila votanti scelgono la forma repubblicana, oltre 17 mila quella monarchica. “Il popolo italiano disciplinato e consapevole ha affidato il suo responso alle urne”, intitola il Messaggero Veneto del 4 giugno, rimarcando “l’altissima percentuale di votanti” (quasi il 90 per cento); e ancora, due giorni dopo, descrivendo una “Giornata emozionante”, intitola: “Viva l’Italia! Il popolo ha scelto: Repubblica”.