Il Selvaggio West nella prateria di Giardin Grande.
10
MAGGIO
2016
dal “Messaggero Veneto”.
Il 10 maggio di centodieci anni fa arrivava il circo di Cody a Udine. Una fiumana di ventimila persone si riversò a Udine per vederlo.
di VALERIO MARCHI
UDINE. A Udine, nella notte fra il 10 e l’11 maggio di centodieci anni fa, “una vera fiumana di popolo”, come riferí la stampa locale, rinunciò al sonno per attendere la troupe di Buffalo Bill, la cui già vasta notorietà divenne planetaria con la geniale creazione del “Wild West Show”.
Il grande circo viaggiava con treni speciali che coprivano la lunghezza di un chilometro e si accampava, con rapidità e organizzazione sbalorditive, in aree necessariamente ampie (a Udine quella dell’attuale piazza Primo Maggio). Un vagone-réclame giungeva sempre giorni prima sul luogo di ogni spettacolo per anticipare l’evento con una massiccia campagna pubblicitaria.
Assieme a cinquecento magnifici cavalli e a una quantità d’altri animali, fra cui specie mai viste prima in Friuli, si esibivano ottocento interpreti: cavallerizzi, amazzoni, domatori, tiratori scelti, acrobati…
Tutti costoro, attraverso scene di lotta e attacchi alla diligenza, rievocazioni di epici eventi quali la battaglia di Little Big Horn o il duello fra Buffalo Bill e Mano Gialla, tornei, manovre d’artiglieria, saggi di forza e di abilità, danze, musiche, costumi caratteristici e suggestive coreografie, amplificavano la favolosa immagine del Far West.
Le due rappresentazioni udinesi, accompagnate da eccezionali ed efficaci misure d’ordine pubblico, si tennero l’11 maggio alle 14.30 e alle 20 (con l’illuminazione elettrica!). In città fu addirittura concesso un giorno di vacanza a studenti, impiegati e uffici pubblici.
Lo spettacolo fu criticato per i prezzi ritenuti alti; nondimeno, vi assistettero circa ventimila persone (Udine contava circa quarantamila abitanti) provenienti da tutto il Friuli («giunsero in città molti provinciali da Tolmezzo, da Pontebba, Gemona, Pordenone, Sacile, dai paesi piú lontani della Carnia, da Cividale e via via»), che nell’occasione scoprirono fra l’altro lo zucchero filato. «Non ci si ricorda di aver veduto maggior folla altro che in occasione della visita dei Sovrani nel 1903», si annotò.
«È un nuovo e vario aspetto del mondo che ignoravamo – riferí la cronaca – e che vediamo per la prima volta, di cui serbiamo forse malgrado nostro il fascino misterioso e possente».
Tutti, inoltre, riconobbero alla compagnia di Buffalo Bill (un migliaio di persone in tutto) il merito di offrire «due ore di godimento estetico, attraente e istruttivo» grazie a uno spettacolo che scorreva «come un cinematografo animato» e che faceva fare «il giro del mondo in due ore».
«E ciò non è poco – si osservò – nella grigia uniformità desolante di questa vita moderna cosí prosaica e affettata».
Si trattava in effetti di un originalissimo melting pot formato non solo da veterani americani, cow-boys, cowgirls e indiani (compreso, per un periodo, Toro Seduto), ma anche da inglesi, francesi, russi, arabi, africani, cosacchi, messicani, cinesi, giapponesi, cubani, hawaiani, e cosí via.
E chi vi assistette colse subito non solo l’aspetto commerciale (un business di notevole portata), ma altresí il sorprendente modello, negli anni che precedevano la Grande Guerra, di una collaborativa convivenza fra genti diversissime, «un immenso e istruttivo villaggio cosmopolita».
«Tutto sommato – si commentò – è stata per Udine una giornata eccezionale che non sarà facilmente dimenticata».
Ciononostante, già s’intravedevano sia il crepuscolo di un’epoca straordinaria, oramai ridotta a spettacolo,
sia il graduale declino di una stella mediatica internazionale ante-litteram, interprete di se stessa e vittima del proprio personaggio, come ha magistralmente espresso Francesco De Gregori nella canzone dedicata a Buffalo Bill esattamente quarant’anni fa.